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Disservizi verdi

Gli alberi sono grandissimi alleati in tutte le più moderne strategie progettuali e urbanistiche tese al miglioramento della qualità della vita. Ma non possono essere posti a dimora in modo casuale, pena il rischio di provocare “disservizi ecosistemici”.


La cura degli alberi in città, in particolare per quanto riguarda le operazioni di potatura, mostra ancora troppi esempi negativi, denunciando una cultura del verde ancora tutta da sviluppare sia in ambito pubblico sia in ambito privato. Alberi cimati, alberi capitozzati, alberi potati troppo severamente o compromessi nel loro apparato radicale da scavi estremamente ravvicinati eseguiti per il rifacimento di pavimentazioni o per la posa di sottoservizi. Molto spesso i nostri alberi li trattiamo proprio male! Non ce ne curiamo, li sopportiamo malamente, li maltrattiamo per poi lamentarci quando, soprattutto a causa delle angherie subite, cadono o perdono grandi branche provocando danni a cose o persone. Ecco che, solo allora, improvvisamente, la maggior parte di noi si accorge della presenza di alberi in città! 
 
Le infrastrutture verdi saranno parte integrante e fondamentale delle città del futuro e, già oggi, il mercato immobiliare premia le città, i quartieri e le singole proprietà più “green” con prezzi più elevati e maggiori possibilità di vendita. 

E infatti non passa giorno che non vi sia un servizio televisivo, un articolo di giornale o una trasmissione radiofonica che parli dei benefici offerti dagli alberi. Insomma, piano piano, anche dall’esperienza professionale, sembra che la sensibilità nei confronti degli alberi stia cambiando e che sia sempre maggiore la consapevolezza dell’importanza del verde all’interno del tessuto urbano. Anzi, negli ultimi mesi c’è stata una corsa alla messa a dimora di alberi in città, alla creazione di nuove aree verdi e alla realizzazione di foreste urbane; una corsa che a volte lascia un po’ perplessi dal momento che, come vuole il detto popolare, la fretta è cattiva consigliera.

Un lavoro ben fatto
Affinché le infrastrutture verdi si possano affermare nel territorio è fondamentale che i progetti di messa a dimora siano accuratamente pianificati e, in particolare, siano studiate con cura le specie da porre a dimora e i relativi sesti di impianto. È inoltre importante garantire delle buone e attente cure colturali post impianto, in grado di favorire l’attecchimento e l’affermazione delle piante. A poco servono i grandi numeri nel corso delle campagne mediatiche se non si trasformano, nell’arco di alcuni anni o decenni, in alberi adulti capaci di produrre ossigeno e di sequestrare o adsorbire sostanze inquinanti.
Tutti noi sappiamo - o dovremmo sapere - che la scelta della specie deve essere guidata dalle caratteristiche agronomiche e microclimatiche del sito di impianto. Solo così, infatti, le piante potranno crescere rigogliosamente e raggiungere gli obiettivi progettuali sia dal punto di vista ornamentale e paesaggistico sia dal punto di vista prettamente ecologico-ambientale. 
Tuttavia, a livello di servizi ecosistemici, occorre effettuare alcuni distinguo. Non è infatti sufficiente garantire un buon sito di crescita e un buon sviluppo vegetativo alle piante affinché obiettivi connessi alla realizzazione di una infrastruttura verde siano pienamente raggiunti. Si inizia a parlare, e a ragione, di disservizi ecosistemici. Che gli alberi, tanto osannati, siano improvvisamente diventati cattivi? Proprio adesso che sembra esserci un cambiamento culturale nei confronti delle aree verdi ci accorgiamo che queste sono portatrici di negatività? Non è ovviamente così, ma occorre porre l’attenzione a tutto quell’insieme di aspetti progettuali che possono evitare la generazione di disservizi ecosistemici ossia di esternalità negative provocate dal verde in città.

Cosa fare per rendere il verde più green?
Non tutti percepiscono il verde come un valore assoluto da preservare e incrementare nelle aree urbane. Non si tratta solo di una scarsa sensibilità, al contrario talvolta il problema si configura come una diversa scala di preferenze per quanto concerne la pianificazione urbana. 
Per esempio, uno dei disservizi ecosistemici ai quali spesso non si pensa è costituito dal senso di sicurezza che si prova attraversando o passeggiando nei pressi di un’area verde: molte persone percepiscono le aree a maggiore tasso di biodiversità oppure quelle con una scarsa gestione (o a limitate cure colturali) come aree poco sicure dal punto di vista della fruizione. Analogamente le aree semi-naturali o naturali che possono essere frequentate da animali selvatici tendono a generare paura e ansia in molti soggetti. Si tratta probabilmente di un riflesso della scarsa abitudine di molti cittadini a vivere a contatto con la natura, vista come qualcosa di lontano rispetto al genere umano. È evidente che per queste persone sia molto più rilassante e gratificante passeggiare all’interno di parchi ben curati, con erba tagliata correttamente e con alberi posti alla giusta distanza gli uni dagli altri. Una progettazione attenta può venire incontro a queste esigenze disegnando le aree più frequentate in modo netto e pulito, facilmente interpretabile e leggibile da qualsiasi fruitore, dando maggior spazio alla biodiversità solo in zone ben determinate, magari dotate di un piccolo specchio d’acqua e di una vegetazione più fitta e stratificata. In questo modo, si possono ottenere elevati servizi ecosistemici anche a tutela della biodiversità urbana senza provocare disservizi ecosistemici sotto forma di un ridotto senso di sicurezza nelle persone più sensibili a questo argomento.
Un’altra tipologia di disservizio ecosistemico - di natura più “tecnica” - è costituita dalla produzione di composti organici volatili (cosiddetti VOC) da parte di alcune specie di alberi. Si tratta di sostanze che, in certe situazioni, possono avere ripercussioni negative sulla salute umana qualora vengano superate determinate concentrazioni nell’aria. Anche in questo caso, conoscenze alla mano, si possono superare queste presunte difficoltà attraverso una progettazione del sito di impianto che consideri, da una parte, le peculiarità di ciascuna specie da mettere a dimora, dall’altra, la densità e il luogo destinato a ospitare le piante. A titolo esemplificativo si può certamente affermare che le piante a maggiore produzione di questi composti dovrebbero essere messe a dimora in aree meno trafficate, dove minore è la possibilità che i VOC si combinino con gli inquinanti atmosferici esacerbando gli effetti dell’inquinamento urbano. In altri termini, la medesima specie, se messa a dimora in filare su un’arteria stradale molto trafficata può risultare “inquinante”, ma se posta all’interno di un parco non darà problemi particolari. Analogamente, è importante valutare l’anemologia urbana ossia i movimenti delle masse di aria all’interno della città dal momento che una copertura verde può impedire un buon ricambio dell’aria nei primi metri da terra, favorendo la permanenza di inquinanti prodotti dai motori a combustione. Anche in questo caso è sufficiente conoscere il problema per “aggiustare” il sesto di impianto o modificare l’assetto vegetazionale in modo da evitare il ristagno di inquinanti a livello delle nostre vie respiratorie.
Un ulteriore vincolo progettuale - altro vero e proprio disservizio ecosistemico - è costituito dall’allergenicità di diverse specie vegetali. Complice, tra l’altro, l’atmosfera non proprio salubre che respiriamo in città, sono diversi gli alberi, gli arbusti e le piante erbacee che possono provocare allergie. Non è certamente ipotizzabile evitare tutte le piante potenzialmente allergeniche all’interno di una città, pena la banalizzazione del paesaggio e l’impoverimento in termini di biodiversità urbana. Tuttavia, è un problema da prendere in seria considerazione attraverso svariate chiavi di lettura, da quella prettamente progettuale a quella relativa alla frequenza delle diverse allergie nella popolazione, passando per l’analisi dell’intensità di fruizione delle varie aree di una città. Si dovranno quindi evitare le specie il cui polline provoca frequenti allergie nelle zone cittadine a maggiore fruizione e a minore ricambio dell’aria a livello del terreno (viali stretti, per esempio), mentre le medesime specie potranno essere utilizzate nelle zone marginali di un parco. 
Come in molti ambiti delle attività umane, quindi, una buona progettazione e un’attenta pianificazione del verde possono anticipare e ridurre i conflitti tra i diversi portatori di interesse, permettendo di raggiungere l’obiettivo di avere città più verdi nell’interesse della collettività.

Riguardo l'autore

Luca Masotto

Luca Masotto

Area: Orto e giardino