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Amore e salute sociale sono la ricetta per una vita felice



Nel 1938, un gruppo di studiosi della Harvard University coinvolse 268 studenti per una ricerca sull’esistenza. Fra di loro anche il futuro Presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy e il futuro direttore del Washington Post, Ben Bradlee. Dopo 80 anni arrivano i risultati. Nei giorni scorsi, infatti, la Harvard Gazette ha pubblicato l’esito dello studio, la cui più grande scoperta può essere riassunta così: non sono il denaro o il successo sul lavoro a procurarci vera gioia ed eventualmente ad allungare le nostre vite, bensì rapporti intensi con il coniuge, la famiglia, gli amici e l’impegno nella comunità. Sono questi legami, molto più della classe sociale, a proteggerci dalle sconfitte della vita, alleviare le sofferenze, darci entusiasmo e motivazioni, ritardando il nostro declino mentale e fisico. Detto altrimenti, il segreto è aumentare la nostra «salute sociale». Non basta per esempio essere aperti alle amicizie. Secondo lo studio occorre curarle, metterle al centro della nostra attenzione, ravvivarle ogni qual volta si allentano o rischiano di deperire per noia o per nessuna ragione. «La solitudine uccide», dice Robert Waldinger, direttore dello studio (il quarto della sua storia) e docente di psichiatria alla Harvard Medical School. Al netto dei crescenti divari di reddito e della ridotta mobilità sociale che si registrano, ci piace pensare che sia veramente così.

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