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È possibile avere due rapporti di lavoro?

Limiti e obblighi del lavoratore

Non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto di svolgere diverse attività lavorative purché si resti all'interno del quadro delineato dalle norme in materia di orario di lavoro, di armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro e degli obblighi in capo al lavoratore subordinato. Vediamo di seguito tutti i dettagli.


Orario di lavoro 
Il primo passo da compiere per poter rispondere correttamente alla domanda deve condurre all’analisi della disciplina relativa all’orario di lavoro. Il motivo risiede nel fatto che l’orario di lavoro del lavoratore corrisponde alla somma dei periodi lavorati per ciascuno dei contratti stipulati.
Ne consegue che, come chiarito anche dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8/2005, “Il lavoratore ha diritto al periodo di riposo giornaliero anche qualora sia titolare di più rapporti di lavoro. Peraltro, poiché non esiste alcun divieto di essere titolari di più rapporti di lavoro non incompatibili, il lavoratore ha l’onere di comunicare ai datori di lavoro l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal senso”.
Così come previsto dalla disciplina di riferimento (D. Lgs. 8.04.2003, n. 66) sarà quindi necessario che vi sia un riposo di almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni coincidente, di norma, con la domenica. Il riposo di 24 ore consecutive va calcolato come media in un arco temporale non superiore a 14 giorni. Nell’ipotesi in cui, dunque, il lavoratore svolga un periodo di lavoro consecutivamente superiore a 7 giorni dovrà, poi, rispettare 2 riposi di 24 ore per un totale di 48 ore di riposo nell’arco dei 14 giorni. 
Occorre inoltre tenere in considerazione quanto previsto in riferimento alla durata massima dell’orario di lavoro, sia per ciò che riguarda la durata massima giornaliera che la durata massima settimanale. 
In tema di durata massima giornaliera, in aggiunta a quella settimanale più sopra analizzata, va sottolineato come la stessa è desumibile da quanto previsto dalla norma di riferimento, la quale prevede 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. Ne deriva che la durata massima dell’attività lavorativa nelle 24 ore è di 13 ore (24 ore – 11 ore di riposo consecutive), fanno eccezione le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità. 
La legge, inoltre, pur rinviando alla Contrattazione Collettiva la disciplina relativa alla durata massima settimanale della prestazione lavorativa, individua in 48 ore (comprensive del lavoro straordinario) ogni 7 giorni la durata media dell’orario di lavoro. Questa media va calcolata con riferimento ad un periodo non superiori a 4 mesi o a periodi maggiori se previsto dai C.C.N.L. (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro). 
 
Appare evidente dunque che, nel rispetto del più ampio principio di correttezza e buona fede che deve guidare anche i rapporti di natura lavoristica, sarà onere del lavoratore informare i datori di lavoro dell’organizzazione oraria svolta nei diversi rapporti di lavoro in modo che sia possibile il rispetto dei limiti imposti dalle norme.

Tempi di vita e di lavoro
Tra le motivazioni che fanno da sfondo alle limitazioni richiamate è possibile individuare un richiamo alla necessità, sempre più sentita tra i lavoratori, di armonizzare i tempi di vita e i tempi di lavoro. Non è un caso, infatti, che la disciplina del periodo feriale, come più volte chiarito dalla giurisprudenza, tuteli il diritto irrinunciabile al periodo annuale di ferie retribuite. 
Lo scopo principale risiede infatti nella necessità di reintegrare le energie psicofisiche spese nella prestazione lavorativa. Da un lato, dunque, la legge individua dei limiti nella durata della prestazione lavorativa e dall’altro tutela il diritto, peraltro irrinunciabile, ad astenersi dal rendere la prestazione lavorativa per il recupero delle forze e la realizzazione personale e famigliare attraverso i periodi di ferie ed i riposi settimanali. 

tempi di vita e di lavoro

Obbligo di fedeltà 
Oltre al sopra citato dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa, sono individuati dalla normativa codicistica altri 3 importanti obblighi in capo al lavoratore subordinato, ovvero: l’obbligo di diligenza nell’esecuzione del lavoro, il dovere di obbedienza cioè di osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore per l’esecuzione del lavoro e l’obbligo di fedeltà. È importante soffermarsi su quest’ultimo per comprendere il perimetro di azione al quale prestare attenzione nel caso di svolgimento di più rapporti di lavoro. 
L’art. 2105 del Codice Civile dispone, infatti, che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
La legge, dunque, individua un limite allo svolgimento di attività in favore di terzi al quale occorre prestare particolare attenzione: pur consentendo lo svolgimento di diverse attività lavorative, vigono il divieto di concorrenza ed il divieto di divulgazione o abuso di segreti aziendali. 
Ciò significa che non sarà possibile per il lavoratore svolgere attività sia per proprio conto che per conto di terzi che siano in concorrenza fra loro correndo il rischio, in aggiunta, di trattare informazioni sensibili che possano ledere il rapporto di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro. A tale riguardo è utile sottolineare che, nel caso in cui il lavoratore venga meno ai propri obblighi (diligenza, obbedienza e fedeltà) inficiando il rapporto fiduciario può incorrere in provvedimenti disciplinari il cui esito può condurre all’adozione di sanzioni di diversa gravità fino al provvedimento espulsivo (licenziamento per giusta causa) come extrema ratio. 
 
Per i dipendenti del settore pubblico vigono regole diverse e lo svolgimento di un secondo lavoro è di norma subordinato all’autorizzazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza. 

Lavoro autonomo e/o lavoro dipendente
Quanto fin qui analizzato risponde al quesito relativo alla possibilità/opportunità, in capo al medesimo soggetto, di svolgere 2 rapporti di lavoro di natura subordinata. Diverso è il caso in cui il lavoratore opti per lo svolgimento di un “secondo” impiego di natura autonoma. 
La differenza tra le 2 fattispecie risiede nel cosiddetto “vincolo di subordinazione” ovvero l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro. 
Questo vincolo è il tratto distintivo, seppur in via generale, del lavoro dipendente e impone l’osservanza delle direttive e dell’organizzazione impartite dal datore di lavoro. In senso opposto il lavoratore autonomo dovrà certamente coordinare la propria attività con il committente ma potrà organizzare la propria attività disponendo di più ampi margini di autonomia. 
I limiti e le attenzioni da prestare variano, quindi sulla base del profilo scelto per le attività che si intendono svolgere.
Nel caso in cui si opti per un secondo lavoro di natura subordinata sarà necessario il rispetto:
  • della durata massima della prestazione lavorativa (13 ore);
  • del riposo settimanale (24 ore ogni 7 giorni);
  • della durata massima settimanale (48 ore medie in 4 mesi);
  • dell’obbligo di fedeltà.
Nel caso in cui si opti per un secondo lavoro di natura autonoma sarà necessario il solo rispetto dell’obbligo di fedeltà. 

obbligo normativo

Consigli pratici
Per evitare di pagare un’imposta Irpef molto alta in sede di dichiarazione dei redditi, chi è titolare di più rapporti di lavoro nell’anno e riceve dunque più di una CU (Certificazione Unica - ex Modello CUD) nel medesimo anno, dovrà optare (alternativamente) per:
  • informare (durante l’anno, se possibile) almeno uno dei datori di lavoro dell’importo del reddito percepito presso l’altro datore di lavoro. O quanto meno far transitare su un contratto di lavoro, la totalità del reddito percepito presunto nell’anno;
  • comunicare ad 1 dei 2 datori di lavoro di non calcolare le detrazioni d’imposta spettanti poiché già riconosciute nell’altro rapporto di lavoro.
Si ricorda inoltre, che è sempre possibile, soprattutto per chi percepisce redditi elevati, richiedere al datore di lavoro l’applicazione di un’aliquota marginale Irpef più alta nel corso del rapporto di lavoro in modo che alla fine dell’anno, a seguito del conguaglio fiscale, non ci si trovi a dover versare una consistente differenza d’imposta.

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Riguardo l'autore

Pietro Giacomazzi

Pietro Giacomazzi

Area: Diritto del lavoro e legislazione sociale