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Senior cohousing

Soluzioni residenziali e sociali per anziani

La spesa sociale italiana impegna tantissime risorse per i meno giovani. Tuttavia, i servizi assistenziali non bastano più a soddisfare una domanda che sta diventando sempre più ingente e complessa.
È indispensabile quindi pensare a soluzioni alternative su molti fronti tra cui quello delle politiche abitative, dove si affaccia una pratica ancora poco conosciuta nel nostro Paese, quella del cohousing per gli anziani. Di cosa si tratta? E quali percorribilità ha nel sistema italiano?


Le ragioni
L’Italia è uno dei Paesi demograficamente più anziani d’Europa.
La percentuale di persone anziane nella nostra società cresce rapidamente a causa, principalmente, dei bassi tassi di natalità, dell’invecchiamento e dell’incremento dell’aspettativa di vita.
Contemporaneamente, la “nuova vecchiaia” mette in discussione l’approccio tradizionale, basato sul passaggio netto dall’autosufficienza alla non autosufficienza, e si presenta piuttosto come un percorso di graduale perdita dell’autonomia che deve essere rispecchiato nei servizi, tra cui, appunto, quelli abitativi.

Cohousing: di cosa si tratta?
I Cohousing sono realtà che prevedono non semplicemente la condivisione di una casa, ma di una vera comunità.
 
I residenti in questo caso collaborano nella progettazione, nella scelta del vicinato, nella manutenzione, vivendo in una sorta di villaggio provvisto sia di abitazioni private che di aree comuni volte a favorire l’interazione sociale.

Se negli spazi privati la vita è come quella delle nostre case, c’è tuttavia la possibilità di accedere a strutture comuni, dalle cucine ai giardini fino alle lavanderie. Sono i residenti stessi a gestire il villaggio e tutte le attività interne non devono generare reddito.
Pensati non solo per gli anziani, ma anche per madri sole e giovani a rischio di esclusione, questi villaggi potrebbero rappresentare una valida alternativa alle case di riposo e appaiono anche migliori del “cohousing privato”, ovvero della condivisione della propria casa, visto che favoriscono, a modo loro, un’interazione sociale.

Le caratteristiche
Non è possibile darne una definizione univoca, poiché non tutte le comunità abitative che si definiscono cohousing rispondono per intero ai requisiti suddetti e possono assumere proprie peculiarità. Cercando di riassumerle, è possibile individuare le seguenti caratteristiche:
  • la “dimensione sociale” degli interventi, che può concretizzarsi in varie forme: residenze con spazi comuni destinati alla socializzazione; strutture con servizi comuni (es.: servizi socio-sanitari, socio-assistenziali e di accompagnamento, assistenza domiciliare per anziani e disabili, doposcuola, babysitting, ecc.); progetti abitativi che puntano sul coinvolgimento diretto e attivo dei residenti nella fase di progettazione e realizzazione, così come nella manutenzione (progetti di autocostruzione, di autorecupero, di cohousing); apertura dei servizi forniti ai residenti al vicinato (sviluppo di comunità);
  • alloggi caratterizzati dalla coabitazione tra gruppi sociali eterogenei, spesso a rischio di esclusione (es.: anziani, madri sole, giovani);
  • a differenza dell’edilizia residenziale pubblica - dove prevale la dimensione economica, nella misura in cui generalmente l’obiettivo è di offrire un’abitazione a chi ha basso reddito - qui l’azione si concentra piuttosto sulla possibilità di usufruire di determinati servizi o sulla volontà di ricercare un nuovo modo di abitare;
  • collaborazione pubblico-privato-non profit sia nel finanziamento che nella gestione degli interventi.
L’offerta di soluzioni abitative non è quindi esclusiva del soggetto pubblico, ma si allarga a soggetti eterogenei provenienti dal settore privato, dal terzo settore e dal mondo delle fondazioni.

Vantaggi e impatto
L’introduzione di soluzioni di cohousing per gli anziani potrebbe dunque generare numerosi vantaggi, a cominciare dall’innovazione dei servizi di cura, grazie a cure condivise in grado di risolvere i problemi assistenziali meno complessi. Per questo il senior cohousing viene incentivato sempre di più dai governi nordeuropei che, in questo modo, trovano una soluzione efficiente ad un problema assistenziale.
Pur non sostituendosi alle cure fornite dagli specialisti, i cohousers possono infatti supportarsi reciprocamente nei periodi di difficoltà.
Inoltre, ottimizzando l’utilizzo degli specialisti (dottori, infermieri, assistenti domiciliari ecc.) si possono generare economie di scala e conseguenti risparmi sia per chi gestisce le strutture che per gli inquilini stessi, grazie alla possibilità di aggregare la domanda di servizi.
 
Il cohousing promuove inoltre l’invecchiamento attivo e l’inclusione sociale degli anziani, rispondendo alle esigenze di quelle persone che, una volta uscite dal mondo del lavoro, rischiano di perdere il senso della loro importanza, poiché offre un antidoto all’isolamento e favorisce l’engagement nella comunità.

Limiti e resistenze alla diffusione del senior cohousing in Italia
Nonostante questi evidenti vantaggi, il cohousing è ancora poco diffuso tra gli anziani italiani. I pregiudizi culturali costituiscono una barriera che ha frenato l’affermarsi del modello abitativo comunitario soprattutto in Italia, Paese molto legato ai modelli familiari tradizionali – in cui i bisogni di cura e socializzazione sono quasi esclusivamente soddisfatti all’interno della famiglia - e alle forme di proprietà classiche dell’abitazione: gli anziani spesso non amano vivere con altri, condividere spazi e oggetti e sono restii a cambiare casa o quartiere.
Tuttavia, è ragionevole pensare che nei prossimi anni tale atteggiamento possa cambiare. In parte, per necessità: i cambiamenti delle strutture familiari e sociali imporranno di cercare cura e socialità anche all’esterno della famiglia.
In parte per ragioni culturali: le future generazioni di anziani saranno probabilmente più informate e aperte ai nuovi servizi di welfare (tra cui queste modalità abitative) e sapranno dunque coglierne maggiormente gli effetti positivi. L’innovazione delle politiche abitative e dei servizi di welfare passa dunque per un cambiamento culturale da promuovere sia tra i cittadini che tra investitori privati e istituzioni, al fine di avviare una “fase pioneristica” fondata sull’iniziativa privata e sul coinvolgimento progressivo di gruppi, comunità, sistemi locali e reti trans-territoriali in cui sperimentare progetti innovativi.

Riguardo l'autore

Alessandra Cinquetti

Alessandra Cinquetti

Area: Redazione di Ratio Famiglia