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Piccoli giardini all’inglese

Giardini romantici e naturali, al limite del selvaggio. Mistero e sorpresa sono gli elementi cardine di una tipologia di giardino che continua ad appassionare.


Le limitazioni portano con sé possibilità, un problema è una sfida. Queste le parole di Russell Page nel libro "L’educazione di un giardiniere". Ciò che voleva dire l’architetto del paesaggio britannico è che, quando ci si approccia per la prima volta al progetto di un determinato giardino, non bisogna porsi limiti e preconcetti. Un piccolo spazio incastonato in un tessuto residenziale molto urbanizzato può sembrare un problema insormontabile dal punto di vista progettuale. In realtà, se affrontato per il verso giusto, ne possono emergere risultati davvero interessanti, con grande soddisfazione sia dei fruitori dello spazio verde sia dei progettisti.
Le soddisfazioni aumentano nel momento in cui tra i desiderata del committente è inclusa la costruzione di un giardino cosiddetto all’inglese, tipologia di giardino che spesso è ricondotta alla disponibilità di grandi spazi, come sovente siamo abituati ad osservare sui libri di storia del paesaggio o, in prima persona, passeggiando tra i vialetti di un parco realizzato nell’epoca clou del giardino all’inglese, che vede il suo inizio nel corso del XVIII secolo.

Un rapido volo all’indietro
Se con un po’ di fantasia e un pizzico di coraggio fossimo in grado di spiccare il volo e di sorvolare i giardini geometrici che dominavano la scena europea fino al Settecento, tutti di derivazione italiana, ci accorgeremmo di un unico fattore comune ossia della chiara volontà del progettista di definire lo spazio utilizzando quinte vegetazionali (arboree o arbustive) nonché di giocare in modo evidente con la prospettiva. In altri termini, il giardino era una sorta di microcosmo caratterizzato da confini ben delineati in grado di individuare ciò che è giardino e ciò che non lo è. Una modalità progettuale che, quindi, si adatta senza difficoltà anche agli ambienti più piccoli.
Prolungando il nostro volo di alcuni decenni, ci accorgeremo di importanti modifiche nell’approccio alla progettazione degli spazi aperti. Gli schemi geometrici, precisi e ben studiati nelle loro proporzioni, vennero progressivamente abbandonati per lasciare spazio a parchi e giardini dall’aspetto più naturalistico o, meglio, naturaliforme. Si tratta, appunto, del cosiddetto giardino all’inglese, un luogo caratterizzato dall’accostamento di svariati elementi orizzontali e verticali – alberi, arbusti, costruzioni in stile antico, percorsi di diversi materiali – nel quale il visitatore non è mai in grado di abbracciare con lo sguardo lo spazio verde nella sua interezza. Il giardino, o il parco, rimanevano in questo modo avvolti da un alone di mistero e di scoperta che il fruitore non era mai in grado di superare, tenendo così viva la voglia di passeggiare, di scoprire nuovi scorci e vedute, salvo spesso ritrovarsi, senza accorgersene, al punto di partenza, come in un grande labirinto informale. Ovunque si posasse lo sguardo, poi, si sarebbero potute osservare specie arboree, arbustive ed erbacee accostate fra loro in modo apparentemente casuale.

I tratti salienti di un giardino all’inglese
Vediamo quindi di ricapitolare gli elementi salienti di un giardino all’inglese.
In origine, ossia quando William Kent e Charles Bridgeman iniziarono a deviare rispetto al giardino formale di ispirazione italiana e francese, il giardino all’inglese si caratterizzava prevalentemente per un romantico richiamo al passato. A Chiswick House, Kent fece costruire un tempio in stile ionico – ovviamente “finto antico” – all’interno di una cornice arborea. A Stowe, Kent costellò gli spazi aperti di ponti e templi, cosa che incuriosì i visitatori di tutta Europa tra i quali un affascinato Jean-Jacques Rousseau.
Proprio a Stowe mosse i primi passi anche Lancelot Brown: qui progettò la cosiddetta “Vallata greca” mettendo a dimora svariate centinaia di alberi. Fu il primo lavoro di circa 170 parchi commissionati dalla Corte d’Inghilterra e da facoltosi clienti privati che gli valsero fama e fortuna. Nei suoi landscape gardens la natura poteva apparentemente esprimere se stessa senza le rigide formalità geometriche cui era sottoposta nei giardini francesi. Fondamentale era lo studio e il rispetto del genius loci ossia delle caratteristiche del luogo che, nella sua visione, non doveva essere stravolto con grandi movimenti di terra, spesso adottati negli interventi francesi. Lancelot Brown accompagnava l’esistente con lievi ondulazioni naturali, piccoli boschi, quinte vegetazionali e, talvolta, piccoli corsi di acqua. Il risultato, per quanto studiato, pianificato e progettato, appariva del tutto naturale e spontaneo.
Ecco secondo lo stesso Lancelot Brown quali sono i passi per ottenere buoni risultati paesaggistici:
- un buon progetto;
- una realizzazione a regola d’arte;
- la conoscenza perfetta dei luoghi, sia nei loro elementi naturali che artificiali;
- una grande attenzione alla messa a dimora;
- grande cura nella scelta vegetazionale sia per quanto riguarda la dimensione degli alberi sia per quanto riguarda il colore del loro fogliame; il tutto deve mirare a produrre gli effetti di luce e ombra necessari alla realizzazione di un buon piano;
- occultare alla vista gli elementi sgradevoli del paesaggio;
- mettere in evidenza gli elementi gradevoli del paesaggio;
- ottenere porzioni di ombra da alberi di grandi dimensioni;
- calibrare la componente arbustiva di corredo in modo da disporre in giardino di profumi e fragranze.

Il giardino inglese in casa o sul terrazzo
Le indicazioni di Lancelot Brown sono valide anche ai giorni nostri per ottenere soddisfazione dagli spazi verdi di proprietà siano essi grandi parchi di campagna o preziosi giardini di città.
In primo luogo, è bene dire che ogni intervento di qualità deve essere adeguatamente progettato. Solo così si potrà ottenere il meglio dagli spazi a disposizione, migliorarne la fruibilità a seconda delle esigenze personali dei proprietari e ottimizzare le spese e gli scomodi di gestione.
L’inserimento di specie e varietà adatte al luogo riduce, infatti, le esigenze di cura colturale negli anni a venire sia per quanto riguarda le potature, sia per quanto concerne, per esempio, il controllo delle malerbe. Le erbe infestanti, infatti, sono molto più evidenti in un giardino formale, dove tutto deve rimanere al suo posto per garantire il risultato paesaggistico complessivo.
Ma in un giardino all’inglese ben studiato, l’infestante non si nota perché ricade all’interno di quella sfera di naturalità e spontaneità che caratterizza lo stile.
Certamente poi il progetto deve essere realizzato nel migliore dei modi sia per gli aspetti materici che per la scelta vegetazionale. Come in tutti i progetti è necessario considerare con grande attenzione le esigenze delle diverse specie in termini agronomici e spaziali. Alberi e arbusti – sembra banale dirlo, ma sono considerazioni spesso tralasciate – crescono nel tempo e modificano le relazioni reciproche instaurando fenomeni di dominanza sociale che rischiano di compromettere la valenza del progetto: perché inserire arbusti ricercati se poi risultano sottomessi e soffocati dall’unica specie arborea dominante?
Gli alberi devono essere scelti pensando alla loro dimensione a maturità ma anche alla velocità di crescita e alla possibilità di regolarne le dimensioni con la potatura. Un albero può fare la differenza per nascondere una vista non proprio piacevole oppure per diventare esso stesso un punto di interesse paesaggistico.
Gli arbusti possono sottolineare percorsi o creare piccole aree nascoste, elementi che aumentano il senso di mistero del visitatore del giardino: la passeggiata sembrerà molto più lunga se non si vede direttamente il punto di arrivo e se, magari, è interrotta più volte da specie arbustive poco conosciute che, con il profumo, il colore o la forma dei fiori, attirano i fruitori in tutti gli angoli della proprietà.

Riguardo l'autore

Luca Masotto

Luca Masotto

Area: Orto e giardino