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Decreto Dignità

Lavoro, semplificazione e lotta al gioco d’azzardo

Lo scorso 14 luglio è entrato in vigore il D.L. 87/2018 denominato “Decreto Dignità” proprio perché il suo primario (ed ambizioso) obiettivo è quello di restituire  alla vita degli italiani una presunta  dignità perduta a causa di disoccupazione, precarietà, oppressione fiscale e burocratica.
I punti fondamentali su cui il Decreto è articolato sono 4 e precisamente: lavoro e contrasto alla precarietà; semplificazione fiscale; disincentivazione alla delocalizzazione delle imprese; lotta  alla ludopatia e al gioco d'azzardo. Esaminiamoli meglio nel dettaglio.


Lavoro e contrasto alla precarietà
Nelle slides di presentazione del decreto pubblicate sul sito ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, viene rimarcata la tendenza degli ultimi anni, da parte di molte imprese, a considerare i  lavoratori “come degli oggetti da usare e poi buttare quando non facevano più comodo abusando dei contratti a termine e lasciando le famiglie nell’insicurezza sul loro futuro”.
Il nuovo esecutivo sembra dunque individuare nel contratto a termine il principale responsabile della precarizzazione dei rapporti di lavoro e per questo apporta delle misure restrittive rispetto alla liberalizzazione contenuta nella precedente riforma del  Jobs Act.
 
Anzitutto viene diminuita la durata massima del contratto a tempo determinato che passa da 36 a 24 mesi, di cui i primi 12 liberi, i secondi, invece, subordinati all’indicazione obbligatoria  di una causale.

Quest’ultima,  altro non è che la verbalizzazione di un motivo imputabile a:
a) ragioni sostitutive dei lavoratori (es. assenza per maternità o infortunio);
b) esigenze temporanee estranee all’attività ordinaria dell’impresa (potrebbe essere la gestione di un progetto finalizzato oppure, anche, lo sviluppo in via sperimentale di una linea produttiva);
c) esigenze connesse ad incrementi temporanei significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (vengono in mente, a titolo esemplificativo, le attività caratterizzate da picchi stagionali oppure le vendite in periodo di saldi).
In realtà la reintroduzione della causale è l’elemento che suscita maggiori perplessità lasciando  presagire, agli occhi degli osservatori,  un vertiginoso aumento del contenzioso  giudiziale (e dei costi annessi per le imprese) che, invece,  con il Jobs Act era drasticamente diminuito. La ragione di tale nefasta previsione  è  facilmente intuibile e viene rinvenuta nel fatto che la formulazione della causale presta il fianco a diverse interpretazioni.
Tornando agli  esempi di cui al punto c), cioè i settori economici  caratterizzati da picchi di stagionalità o la vendita  dei saldi, posto che essi determinano sicuramente degli incrementi temporanei significativi, possono essere considerati non programmabili dell’attività ordinaria, atteso che si conoscono benissimo in anticipo i periodi interessati?
 
Le altre misure restrittive del contratto a termine destano minori preoccupazioni e sono: la riduzione da 5 a 4 delle proroghe ammesse, nonché  la previsione di un contributo aggiuntivo al momento della nuova stipula, proprio per renderlo più costoso.

Così come molto più oneroso  sarà l’indennizzo che l’impresa dovrà pagare al lavoratore assunto dopo il Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo.
In base alla  nuova previsione, l’importo va da un minimo di 6 fino ad un massimo di 36 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del T.F.R.,  e tiene conto dell’anzianità del lavoratore.
Detta somma, aumentata del 50% rispetto alla disciplina del Jobs Act, dovrà comunque essere dimezzata se riguarda lavoratori occupati in un’azienda che ha meno di 15 dipendenti.

Semplificazione fiscale
Sono 3  gli accorgimenti previsti a tutela delle imprese, tutti orientati a neutralizzare quegli “istituti creati per fare cassa” come il ministro Di Maio li ha espressamente definiti.
Il primo punta a cancellare definitivamente  il “redditometro”, ciò quello strumento con il quale il Fisco determina il reddito del contribuente attraverso la capacità di spesa.
Il secondo modifica il c.d. “spesometro”, in pratica  le comunicazioni Iva da inviare periodicamente all’Agenzia delle Entrate.
Con le nuove norme, l’invio dei dati relativi al 3° trimestre è differito al mese di febbraio 2019, unitamente a quelli del 4° trimestre. In questo caso, anziché di abolizione, sarebbe più corretto parlare di un chiarimento volto a verificare la possibilità, a favore dei contribuenti, di un adempimento semestrale.
Il terzo istituto nel mirino dell’esecutivo è lo “split payment”, cioè il meccanismo attraverso cui lo Stato versa l’Iva sui suoi acquisti direttamente a se stesso.
 
Le nuove disposizioni  esonerano dal suddetto obbligo i compensi dei professionisti  che operano nei confronti della Pubblica Amministrazione, aprendo forse la strada ad una sua progressiva eliminazione.

I timori e le  perplessità intorno a queste misure, sono perlopiù dettate dall’impatto sui conti pubblici.

Disincentivazione alla delocalizzazione
In tale ambito, l’azione  governativa  è tutta concentrata su quelle imprese che, dopo aver beneficiato di finanziamenti e provvidenze pubbliche, decidono di delocalizzare la propria attività all’estero.
E' necessario fare una distinzione a proposito: se lo spostamento avviene all’interno dell’Unione Europea, l’azienda dovrà restituire quanto indebitamente percepito, oltre gli interessi; se invece si oltrepassano i confini comunitari, è prevista una sanzione che va da 2 a 4 volte l’importo del beneficio ricevuto.
 
Sia nell’uno che nell’altro caso, il meccanismo scatta nell’ipotesi in cui la delocalizzazione sia stata effettuata nei 5 anni successivi al ricevimento dell’aiuto pubblico.

Lotta alla ludopatia e al gioco d’azzardo
E' il punto in assoluto più controverso ed aleatorio, sebbene faccia  riferimento ad un fenomeno sociale sempre più diffuso e allarmante, cioè la dipendenza dal gioco d’azzardo.
 
Le misure di contrasto consistono nel divieto assoluto di pubblicità, sia diretta che indiretta, su qualsiasi forma di gioco o scommessa che preveda vincite in denaro, fatta eccezione per la Lotteria Italia e le “manifestazioni di sorte locali” come le pesche di beneficenza.

In caso di trasgressione, è prevista una sanzione amministrativa commisurata al 5% del valore della sponsorizzazione, comunque non inferiore ad un importo minimo di € 50.000,00.
Pur apprezzando gli scopi sociali di tali misure, non si può fare a meno di osservare come la loro efficacia potrà essere oggetto di valutazione solo tra qualche anno, dopo aver verificato se vi è stata un’effettiva diminuzione del fenomeno.
Nel frattempo,  appaiono molto più certe le paventate controindicazioni di natura economica, ovverosia, un calo inevitabile delle entrate Iva sui giochi, ma soprattutto, un drastico taglio delle risorse a disposizione di quei soggetti (mass-media, enti, federazioni, società sportive) che già beneficiano ampiamente di sponsorizzazioni e pubblicità delle aziende di giochi e scommesse legali.

Riguardo l'autore

Giovanni Pugliese

Giovanni Pugliese

Area: Diritto del lavoro - Immigrazione - Pari opportunità